
Vi ricordate quando gli emigranti eravamo noi vivevamo nelle baracche. Stagionali che potevano lavorare soltanto nove mesi, e non avevano il permesso per affittarsi una casa. Stessa regola per operai in difficoltà, quelli che lavoravano nelle campagne dai contadini. Baracche con tanti letti a castello, un servizio per cinquanta persone, il lavatoio in comune, fornelli per cucinare, fili stesi per i panni. Quando gli emigranti eravamo noi, c’era qualcuno che voleva mandarci via, perché “¨Prima gli svizzeri”. Un referendum nel 1970, lanciato da James Schwarzenbach, figura di intellettuale-scrittore-editore, aria da gentleman,, figlio di industriali proprietari della più grossa fabbrica tessile nel mondo. Ci siamo dimenticati i migranti eravamo noi, ricordi cancellati dalla memoria. Dal 1946 al 1968 in Svizzera arrivano due milioni. Lombardi, poi i veneti e friulani, e negli anni Sessanta l’ondata dal Sud. A metà dei Sessanta vivono in Svizzera 500 mila italiani, arrivati con treni stracarichi, valigie legate con spago; parlano solo dialetto e spesso analfabeti.
Gli italiani sono venuti per svolgere lavori pesanti, quelli che gli svizzeri non volevano fare. Lo stesso governo italiano, nel 1948 ha siglando accordi bilaterale con la Confederazione sul reclutamento di operai, li ha spinti verso il confine purché andassero via dall’Italia, che scoppiava di disoccupati. Alcide De Gasperi, nel 1949, invita i meridionali a cercare la fortuna verso le strade del mondo. È il caso ricordare quegli anni della nostra emigrazione, in cui la xenofobia costruisce il castello dei valori. Un libro in uscita da Feltrinelli dal titolo “Cacciateli!” Chi a quei tempi ha vissuto in Svizzera, non può dimenticare dei bambini che facevano baccano in strada, la mamma li zittiva: “Non facciamoci riconoscere”.
Schwarzenbach: il suo del 1970 fu il primo referendum europeo per dare una stretta all’immigrazione. Se avesse vinto, in 300 mila italiani avrebbero dovuto fare le valigie. Italiani che costruivano centrali idroelettriche, gli si diceva in faccia: «Se passa, te ne vai». Chiudono il cantiere del Gottardo, gli italiani accusati che rubavano il lavoro agli svizzeri. Schwarzenbach il primo e quasi da solo, unico parlamentare di un partitino Nationale Aktion, contrastato dagli imprenditori, che temevano di perdere la forza lavoro.
Gli svizzeri vivevano gomito a gomito con gli italiani, ma non li amavano, li disprezzavano, li temevano. Quel “Tschingg” era l’insulto per gli italiani, veniva dal “cinque” spesso urlato nel gioco della morra. Un gioco vietato in certi posti: Mora Verboten si leggeva sui cartelli. Li spiavano, in quegli anni Sessanta bambini nascosti, illegali, tappati in casa senza fare rumore, né guardare dalla finestra, per paura che il vicino facesse la spia. Bambini costretti a stare in collegio nel Comasco e nel Varesotto.Eppure la votazione del 25 settembre 2016 votata dal popolo svizzero, “Prima i nostri” approvata dal 58% che a tutto oggi non si ancora avverato. In Ticino su circa 200’000 posti di lavoro, 63’000 sono occupati da frontalieri. Oggi i disoccupati iscritti all’ufficio del lavoro in aprile ’19 sono 107’298 2,4%. Un Ticino dove abbiamo quasi 5 mila abitazione vuote, il tasso di interesse di una ipoteca per costruzione circa 1%, e le banche se gli porti i tuoi franchi non danno più interessi. si continua a costruire, gli affitti alle stelle. Tutto questo, forse è colpa della libera circolazione.