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LA FESTA DELLE CACCAVELLE

Michele Bortone

Nell’anno 1694, in assenza di Mons. La Morea, si celebrava a Lacedonia la cosiddetta festa delle Caccavelle, le cui origini sono certamente antichissime che nessun vescovo in precedenza aveva cercato di osteggiare o di abolire. Ogni anno anche le maggiori autorità cittadine, sindaco ed eletti in testa, ci tramanda il Palmese, vi prendevano parte il 3 gennaio “avevano il costume di travestirsi con divise di Magi e al rintocco delle campane a mezzodí entravano festosi nella città. Il termine caccavelle stava ad indicare nel dialetto locale i campanacci appesi al collo degli animali da pascolo. Qesta specie di Befanata profana era certamente da escriversi nel ciclo invernale collocate con il Carnevale avanti la Quaresima serviva; tendenzialmente ad esorcizzare tra l’altro la paura di un cattivo raccolto; ma era una tradizione che il Mons. La Morea definiva oggettivazione di istinti demoniaco-infernale.

La sua abolizione richiese anche l’aiuto e la collaborazione dei Doria di Melfi, il cui Governatore provvide a emanare un editto con cui si proibiva il ripetersi della manifestazione. Si tenga presente la notte dell’Epifania nella nostra diocesi come un po’ in tutta la zona, aveva una carica magico-religiosa. Ancora oggi persiste l’uso di un detto locale: “Tutte re Pasque scessero e vennesero; sulo Pasqua bbifania nun venesse maje” (Potrebbero andare e venire tutte le Pasque, solo Pasqua Epifania non dovrebbe venire mai).

 

 

 

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