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ALBERO GENEALOGICO DEI REGNANTI A LACEDONIA

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Michele Bortone

Con l’avvento del CRISTIANESIMO, Lacedonia fu possesso dei monaci Benedettini ai quali era stata donata dall’Imperatore GIUSTINIANO nel 517 d.C. Purtroppo il terremoto del 5 dicembre 1456 vigilia della festa di S. Nicola, distrusse il paese, che fu ricostruito in un luogo diverso. S. Nicola, deluse i Lacedoniesi che gli affiancarono S. Filippo Neri.

Il feudatario Giannantonio Orsini la fece ricostruire nella parte sud-est della collina, chiudendola in una cinta muraria con quattro porte, tre delle quali ancora oggi esistenti. Le quattro porte, fiancheggiate da torri, erano: Porta di Sopra, presso il Palazzo Vescovile, abbattuta nel secolo scorso; Porta La Stella, nelle vicinanze delle rupi; Porta di Sotto, Porta degli Albanesi, dove il Principe Orsini fece costruire un castello per dimora signorile.

I Pappacoda erano considerati di origine francese, di Lione con esattezza, venuti a Napoli con la conquista angioina. Altre fonti li davano per originari dell’isola d’Ischia. In realtà la dinastia era napoletana e faceva parte delle cosidette sei famiglie “aquarie”, così denominate dal patronato sulla chiesa di San Pietro a Fusariello in Aquaro, ereditato dai Proculo (a loro volta estinti con sei sorelle sposate rispettivamente in Pappacoda, Strambone, Venato, di Gennaro, de Dura e Macedonio). Secondo la tradizione le famiglie “aquarie” poi fondarono il Seggio di Porto. Giordano probabilmente era fratello di Aiolfo Pappacoda, ammiraglio del Re Carlo I di Sicilia che permise la conquista di Ischia, e di una Giovanna, sposata ad Antonello Paladino. L’Ammirato menziona anche un Liguoro, milite, che ebbe ricompensa per i servigi resi al suo sovrano nel 1278.

Congiura dei Baroni, che vi si tenne l’11 settembre del 1486 tra i baroni, signori dei paesi vicini, quivi convenuti per dichiararsi avversari agli aragonesi di Napoli. La congiura  però fallì e il Re punì pesantemente i congiurati. Proprio contro Carlo Pappacoda, costretto a fuggire a Nusco con il padre Ferrante per sottrarsi alla furia della città.

Baldassarre (+ VIII-1520), Patrizio Napoletano, Consigliere e Cavallerizzo Maggiore del Re Federico I di Napoli, compra la città di Lacedonia per 7.000 ducati il 24-4-1501, Sindico di Napoli per il Seggio di Porto.

 Mariella Tomacelli ,Silvia Brancaccio, figlia di Giovanni Battista, Patrizio Napoletano, e di Diana Pignatelli (v.)

Il 1501 Lacedonia fu acquistata da Baldassare Pappacoda, l’incremento di popolazione per  Lacedonia nel 1532 era di 250 fuochi (cioè famiglie), nel 1545 di 281,nel 1561 di 299, e nel 1595 di 327. I Pappacoda, sulle cui vicende avremo modo di occuparci  piú dettagliatamente in seguito, provenivano dall’isola di Procida. A  Lacedonia i Pappacoda si erano insediati ai principi del secolo XVI e senza soluzione di continuità vi erano rimasti fino alla metà degli anni ottanta; basta pensare alla rivoluzione scoppiata a Lacedonia il 1547. Conclude ancora il Colapietra, di una rivolta che trova le origini in un preciso atteggiamento antifeudale, altro che la qualifica di buoni principi che ingenuamente il Palmese attribuisce ai Pappacoda.

Ferrante (+ 7-5-1581), 2° Barone di Lacedonia dal 1520 (investito nel 1521), assolto da  fellonia dietro il pagamento di 5.000 ducati nel 1529, vende il feudo di Lacedonia ai Carafa per 6.000 ducati nel 1566.

 Cornelia d’Azzìa, Scipione (+ ante 1581), 3° Barone di Lacedonia (feudo che ricompra ai Carafa nel 1569). Carlo, 4° Barone di Lacedonia succedendo al fratello Scipione e che rivende ai Carafa.

 Virginia Albertini, figlia di Giovanni Battista Barone di Matonti, Montecorice e  Novella, e di Vittoria d’Azzìa (* 26-10-1562 + ?) (v.)

Intanto il 12 giugno 1584 “nominalmente per conto di Zenobia principessa titolare di Melfi”, Lacedonia viene venduta dai Pappacoda  ai Doria per 76.500 ducati.  L’ingresso di Lacedonia nel principato di Melfi. E infine nel 1609 Rocchetta si ricongiungeva anche fedualmente a Lacedonia: (ne faceva parte anche prima della separazione era durata poco più di un secolo). Con l’unione a Lacedonia, Rocchetta  passava anche essa  dai Del Tufo ai Doria di Melfi per 72.000 ducati.

L’ingresso di Lacedonia nel principato di Melfi, non muta la situazione economica: consente ai Doria di andare al di là dell’Ofanto e di procedere verso “l’arrotondamento dei confini tradizionali del principato”. Pertanto Lacedonia non può che constatare l’accentuarsi progressivo degli elementi  di crisi che ormai la investe in ogni lato: il 1587 è un anno funesto che vede la di munizione del gettito fiscale nelle casse dei Doria a causa di una moria del bestiame e dell’abbassamento del prezzo del grano. La crisi di Lacedonia trova una spiegazione anche nella politica del governatore di Melfi, Stefano Centurione, che privilegia la cerealicoltura a danno dell’allevamento, tanto che la città eleva le sue giuste proteste il 26 ottobre 1590.

Dinanzi a una politica di questo tipo, che colpisce l’economia lacedoniese e alle impennate-cadute continue del prezzo del grano, è perfino ovvio dedurre lo sfilacciamento del tessuto sociale. Sono gli anni  in cui il vescovo Pedoca, come si vedrà in seguito, eleva ai sacri limini le sue amare considerazioni sullo stato delle diocesi. E cosi Lacedonia è  costretta a dare prima  per la nascita di Zenobia Doria nel 1594  200 ducati, e la carestia serpeggia ininterrotta da 5 anni; e poi di Felice Doria nel 1596 gli eletti offrono in omaggio una somma imprecisata, ma vi aggiungono la significatissima supplica di far lavorare quelle poche terre. In certe situazioni spesse confuse e contraddittorie  cominciano a comparire il banditismo.

 

Michele Bortone

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